di Cosimo Centonze | 06 Aprile 2014
RECENSIONE | Una premessa pare doverosa: a mo’ di “guida” questa rubrica ha la pretesa di elargire alcuni consigli a chi si reca al cinema con una certa frequenza, ma anche a chi entra, in una sala cinematografica, con meno intensità, pur essendone attratto e talune volte rapito ma che preferisce una pizza con gli amici o altri svaghi, ma, questi commenti hanno anche la pretesa di far avvicinare alla settima arte anche a chi del cinema come dire, gli interessa quanto del curling o della vita dei primi sumeri.
Al tal scopo vengono recensiti film presenti in sala, ad eccezione di questo piccolo immenso gioiello che in sala ci è arrivato nel dicembre 2013, con un passaggio troppo veloce come un ghepardo o come degli scolari che appena odono il suono della campanella scattano come fulmini verso casa. Quindi questo articolo devia dal normale scorrere del ruscello, possiamo affermare che si tratta di un piccolo omaggio a una perla nascosta e piccolissima che luccica da lontano quando scendiamo in cantina a riordinare vecchi scatoloni e tra il buio pesto e odore di aria chiusa e ci troviamo abbagliati da un piccolo tesoro creduto ormai scomparso.
E’ una piccola storia, avente come protagonista un piccolo uomo, tale John May, anche il nome è alquanto ordinario e scontato, un signore di mezza età dall’aspetto mite e bonario, egli è un funzionario comunale a cui è affidato l’ingrato compito di rintracciare i parenti delle persone passate a miglior vita, il cui corpo non è reclamato.
Egli vive la propria vita in estrema solitudine circondandosi di gesti abituali e affrancandosi dal mischiarsi con gli altri, conduce la sua esistenza quasi immobile mentre tutto intorno a sé si muove, con eleganza e grazia, il regista lo accosta a delle statue, quasi a farci capire come poca differenza vi sia tra di loro, eppure, nonostante ciò egli è felice e la sua sensibilità gli permette di approcciarsi al suo lavoro con uno spirito inusitato, pensando che, anche chi ha condotto la propria vita in solitudine e nell’abbandono, arrivando, ad esempio, a far finta che la propria gatta sia la figlia, ha diritto a un bel funerale e una degna sepoltura, per poter giungere a questo nobile scopo, piuttosto che archiviare subito la pratica con la cremazione, si prodiga alla ricerca di elementi che possano aiutarlo a risalire a dei parenti, così da poter affidare loro le ultime cose appartenute al defunto e soprattutto per convincerli a presenziare al funerale, non solo si impegna a scrivere un discorso da far recitare al funerale stesso, o per esempio le musiche che accompagneranno il feretro attingendo alle poche notizie rinvenibili dagli ultimi oggetti.
Accade che, a causa del ridimensionamento del suo ufficio, John perde il proprio posto di lavoro poiché, considerato dal suo superiore, capello fluente tinta luccicante, un “ramo secco”, il nostro eroe-antieroe gli chiede solo alcuni giorni per poter chiudere l’ultima sua pratica: Billy Stoke, un uomo che ha vissuto dei momenti felici persi tra bevute oceaniche e risse smodate. John va alla ricerca della ex compagnia di Billy, della figlia, di un suo ex commilitone e chiede informazioni a dei vagabondi compagni delle sue ultime sbronze, ne esce fuori un ritratto di un uomo borioso e lunatico in cui il nostro protagonista vede un amico, forse il suo unico amico.
Il finale vive di due momenti intimi e meravigliosi, ma al contempo tristi, rigorosi, intensi, commoventi, splendidi e appassionanti come.. come la vita.
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