di Isabella Monte | 04 Novembre 2017
RECENSIONE | C’era un tempo in cui il genere horror non aveva bisogno di gruppi di adolescenti (di dubbia perspicacia) in hotpants ed addominali in bella vista da inserire in copioni vergognosamente stereotipati. C’era un tempo in cui il genere horror brillava per esposizione di immagini meravigliosamente surreali che non volevano ricordare la paura, ma volevano generarla, plasmarla ed infonderla nella mente dell’osservatore (chiedete a Lynch, per esempio). C’era un tempo in cui i film horror potevano diventare iconici per merito, ed essere tramandati da generazione in generazione senza rischiare di finire in un enorme immondezzaio pieno di storie già trite e ritrite, pronte ad essere nuovamente ripassate in padella e riproposte in tavola.
In quel tempo, il signor King decise di scrivere un altro dei suoi libri, uno di quelli per cui la critica letteraria continuava a torcere il naso nonostante le vendite esorbitanti dimostrassero il contrario di quanto loro sostenevano (ma si sa come vanno certe cose: i film più fischiati a Venezia, gli esclusi al Festival di Sanremo…).
Sempre in quel tempo, il signor Kubrick pensò che, dal libro del signor King, poteva venir fuori un bel film e, dopo aver provinato alcuni papabili interpreti, decise di convocare il signor Nicholson e la signora Duvall per affidare loro il ruolo dei coniugi Torrance, padre e madre dell’allora piccolo Danny Lloyd.
Al netto degli interminabili screzi tra King e Kubrick riguardo l’effettiva aderenza della sceneggiatura al romanzo originale, il plot, per quei pochi scellerati che non lo conoscessero, può essere riassunto, in maniera estremamente sommaria, come segue.
Fine anni settanta: Jack Torrance, scrittore in cerca di ispirazione, ottiene un lavoro come custode invernale dell’Overlook Hotel, meravigliosa (e altamente inquietante) struttura ricettiva situata tra le montagne del Colorado, con alle spalle un passato di truculenti assassinii e scabrosi avvenimenti. Jack, insieme alla moglie Wendy e al “luccicante” figlio Danny (tanto “shining” quanto Mr. Hallorann, capocuoco dell’hotel interpretato dal compianto Scatman Crothers), si trasferisce in quella che sarebbe stata la dimora della sua famiglia per tutti i nevosi e desolati mesi invernali a seguire.
Da qui in poi, la storia è una lenta e progressiva discesa verso i più profondi abissi della psicosi, della metafisica e del paranormale che porterà il capofamiglia Torrance a desiderare ardentemente di fare a pezzi moglie e figlio con una delle accette più famose del cinema.
Alla fine muore lui. Congelato.
Ora, checché ne pensi Stephen King, solo un volto come quello del giovane Nicholson poteva rendere giustizia ad un personaggio così violentemente tormentato e, nonostante il Jack Torrance del romanzo fosse biondo ed inizialmente sano di mente mentre Nicholson sembrava da internare già al colloquio di lavoro, io e la mia ossessione per questo film crediamo che la scelta di Kubrick non sarebbe potuta ricadere su un attore migliore.
Stesso, ma con meno enfasi, dicasi per Shelly Duvall, Danny Lloyd e Scatman Crothers.
Tuttavia, parlare ancora di una pellicola uscita circa quarant’anni fa potrebbe, giustamente, sembrare anacronistico (non che non ci sia da parlarne anche per i prossimi cinquant’anni, anzi), se non fosse che qualche mente illuminata ha deciso di riproporre il leggendario capolavoro di Kubrick nella sale, in occasione di Halloween e dei due giorni seguenti.
Magno gaudio per gli appassionati come me (che ho prenotato online, in spaventoso anticipo, una poltrona VIP, spendendo una cifra da record per un film al cinema) che hanno, finalmente, avuto la possibilità di ammirare sul grande schermo ciò che avevano sempre visto in formato TV.
La versione proposta nelle sale è stata restaurata e riadattata per una durata di 116 minuti (rispetto ai 146 della versione originale), ed è integrata con un brevissimo corto dal titolo “Work and Play” , diretto da Matt Wells, che precede il film.
Nel corto iniziale ci sono le indimenticabili gemelline, ora molto cresciute ma palesemente riconoscibili, che raccontano alcuni aneddoti legati alle riprese del film. Lo stesso fanno Diane Johnson (co-sceneggiatrice del film) che parla dell’influenza di Freud, del genere gotico e, in particolare, del Frankestein di Mary Shelley in fase di stesura della sceneggiatura; e Garrett Brown, inventore della Steadicam (rivoluzionario dispositivo meccanico con la camera in sospensione, che permise di effettuare le classiche riprese in movimento continuo massivamente presenti per tutta la durata del film).
E poi c’è Katharina Kubrick, figlia di Stanley, che racconta la sua infanzia sotto l’ala protettrice di un padre
geniale ed amorevole dal quale ha imparato tutto quello che c’è da sapere sul mondo del cinema e sui suoi segreti, in primo luogo la spasmodica passione per il proprio lavoro.
Sullo sfondo, immagini di repertorio, fotografie inedite e retroscena del making of: tutto a ricordare la maniacale ricerca della scena perfetta, dell’esatta mimica degli attori, della minuziosa composizione di un puzzle che, una volta completato, avrebbe regalato, agli occhi dello spettatore, il film horror per eccellenza.
Poi parte il film.
Ma allora, in che modo una proiezione cinematografica può cambiare il giudizio su di un film già visto altre volte (decine e decine, nel mio caso)? In nessuno. Non lo cambia, ma lo arricchisce, lo rende più consapevole. E più consapevole diventa anche lo spettatore quando, già a partire dai titoli di testa, straordinariamente traballanti e squilibrati, si rende conto che tutta quella grandezza che ha di fronte agli occhi non è solo piacere per le retine, ma anche cibo e scuola per la mente.
In che modo una proiezione cinematografica può cambiare il giudizio su di un film già visto altre volte? In nessuno. Ma fa venire le vertigini, quelle vere, perché quando lo spettatore, intento a seguire la Volkswagen dei Torrance su per le montagne, tra i sentieri tortuosi dei passi delle Rocky Mountains, riesce a sentire una leggera scossa di assestamento tra la schiena e la poltrona quando l’inquadratura sterza immediatamente a sinistra, mostrando lo strapiombo montuoso al di là della strada.
In che modo una proiezione cinematografica può cambiare il giudizio su un film già visto altre volte? In nessuno. Ma quando Denny corre col triciclo per i corridoi dell’Overlook, o quando, alla fine, cerca di sfuggire all’ormai squinternato padre tra i meandri del labirinto innevato, fa venir voglia di allungare il collo e ripuntare la testa per cercare di vedere cosa si nasconde dietro l’angolo (come se non lo sapessimo già a memoria).
In che modo una proiezione cinematografica può cambiare il giudizio su un film già visto altre volte? In nessuno. Ma le musiche, lo scorrere alternato delle ruote del triciclo sul parquet ed il tappeto, i grugniti di Nicholson ed il sublime ed ipnotico soffio del vento che fa da preludio alla morte di Hallorann, filtrati dall’assordante surround del cinema, provocano uno strano e persistente formicolio alla pelle.
Questo è stato e, come sempre, molto altro. Perché stiamo parlando di un cult intramontabile, uno di quelli che non è mai spiegato del tutto e che continua ad ingannare e a sfidare lo spettatore ad ogni visione, uno di quelli che bisogna aver visto per forza, per una forma di rispetto artistico e, soprattutto, personale.
E vi dirò: il fatto che io e lo sconosciuto seduto accanto a me abbiamo rimesso su il cappotto nello stesso, preciso, identico istante, prima che i titoli di coda lasciassero intendere la fine del film (perché noi, furbi, sapevamo che era finito), con la stessa, precisa, identica espressione soddisfatta sul viso, mi ha fatto venire in mente che, probabilmente, in quella sala, la pensavamo tutti allo stesso modo.
11 Febbraio 2014
12 Febbraio 2016
24 Gennaio 2016
28 Novembre 2017
26 Gennaio 2018
3 giorni ago
26 Gennaio 2018
Tutti i cittadini italiani portano in dichiarazione fiscale...26 Gennaio 2018
Nel calcolo dell’Indicatore Situazione Economica...26 Gennaio 2018
La formula di ospitalità del bed and breakfast (B&B)...26 Gennaio 2018
L’assegno al nucleo familiare (ANF) è un sostegno...