News Scuola e Formazione / Guagnano
di Tiziana Marcucci | 17 Ottobre 2022
“Se qualcuno dovesse chiedermi, come filosofa, che cosa si dovrebbe imparare al liceo, risponderei: “prima di tutto, solo cose “inutili”, greco antico, latino, matematica pura e filosofia. Tutto quello che è inutile nella vita”. Il bello è che così, all’età di 18 anni, si ha un bagaglio di sapere inutile con cui si può fare tutto. Mentre col sapere utile si possono fare solo piccole cose” (Agnes Heller, “Solo se sono libera”)
Una citazione che richiama alla mente una frase che purtroppo, si sente dire a diversi adolescenti: “ A che serve studiare? Per fare soldi non serve andare a scuola. Io ci vado perché mi serve il diploma , perché senza quel ‘pezzo di carta’ non posso fare niente”.
Un’affermazione che fa sorgere immediata una domanda: perché i nostri ragazzi non vedono nell’Istruzione un’opportunità di crescita ed affermazione personale, come invece dovrebbe essere? Che modello educativo stiamo offrendo loro?
È quanto mai necessario un cambio di prospettiva: non è quel ‘pezzo di carta’ che ci rende competenti, ma sono le nostre competenze che danno valore a quel ‘titolo’, che rappresenta una tappa fondamentale di un percorso di crescita personale e professionale che non termina mai. Un percorso che bene si inserisce anche nel contesto del lifelong learning, la necessità di continuare a studiare e ad aggiornarsi per tutto il corso della vita, in un mondo del lavoro sempre più fluido ed esigente.
In questo processo è evidente il ruolo primario dell’Istruzione, della Scuola, luogo principe della formazione di ogni individuo. ‘Andare a scuola’ per alcuni ragazzi e ragazze è un dovere sterile, un diritto dovuto o, nel peggiore dei casi, una perdita di tempo, visto che gli ‘anni persi a scuola si possono recuperare. Dobbiamo impegnarci tutti a far sì che la Scuola recuperi la dignità del suo ruolo, in quanto essa rappresenta l’opportunità di tutti e di ciascuno per acquisire quella formazione intellettuale e culturale necessaria ad affrontare le sfide che lo sviluppo tecnologico ed il cambiamento sociale ci impongono.
È necessario che avvenga il passaggio dal ‘sapere’ , che è fine a se stesso, al ‘saper far fare’ , cioè l’utilizzo del sapere. In altri termini parliamo delle ‘competenze’, che si inseriscono bene anche nel contesto del lifelong learning.
Ma cos’è una competenza? Definizioni ce ne sono di autorevoli, basti leggere Ralph Tyler, Olivier Reboul e in Italia Giuseppe Bertagna o Rosario Mazzeo. Potremmo dire che la competenza è il tratto tipico della persona in azione, capace di rispondere alla pluralità delle sfide che la realtà impone con libertà, originalità, apertura, sfruttando e utilizzando in maniera dinamica e critica il suo sapere e il suo saper fare.
Una persona competente è una persona autonoma e responsabile che ha coscienza dei propri talenti e della propria vocazione, possiede un senso positivo dell’esistenza, si relaziona con la realtà cogliendone le sfaccettature e sapendo fronteggiare compiti e problemi in modo efficace, riorganizzando in modo consapevole le risorse, anche umane, a sua disposizione. Le competenze avvicinano il sapere alla vita e si collegano all’educare a vivere.
Ciò che è sbagliato è pensare la competenza come alternativa al sapere: la competenza, infatti, ha come base proprio i contenuti e le conoscenze che si apprendono principalmente a scuola, dove si utilizzano strumenti adeguati e strategie efficaci che promuovano realmente lo sviluppo olistico della persona. Se è vero che le conoscenze oggi sono reperibili spesso in rete, è pur vero che affinché una conoscenza diventi competenza è necessario che essa venga metebolizzata, che diventi patrimonio del soggetto che apprende e che essa si vada ad inserire nel bagaglio culturale del soggetto, affinché egli la sappia reperire quando è necessario. Risultato, questo, che solo un processo di apprendimento messo in essere dalla Scuola può permettere di ottenere. Ciò che si può imparare autonomamente risulta essere, invece, o una semplice conoscenza momentanea o una abilità transitoria. In definitiva, la competenza si connota come valutazione non del “cosa si conosce”, ma di “cosa si sa fare con quello che si conosce”.
Fondamentale, dunque, è la figura dell’insegnante, il quale nella propria attività didattica non si limita a trasferire conoscenze, ma è una guida in grado di porre domande, sviluppare strategie per risolvere problemi, sostenere gli studenti nel trasferimento e uso, in nuovi contesti, di ciò che sanno e sanno fare, mobilitare i talenti degli studenti attraverso esperienze significative, concrete e sfidanti in situazioni di lavoro o di studio, che sono descritte in termini di responsabilità e autonomia. ‘La valutazione delle competenze è una valutazione di rottura perché realistica, innovativa, costruttiva, contestualizzata, promozionale. È realistica perché coinvolge gli alunni in situazioni reali, è innovativa perché supera la logica lineare della valutazione tradizionale, è costruttiva perché costruisce il sapere e non lo replica’ (Tecnica della Scuola).
Vogliamo concludere riprendendo in maniera provocatoria la riflessione iniziale: ‘competenza’ è spesso un compromesso tra ciò che piace e ciò che viene richiesto nella quotidianità e, soprattutto, in ambito lavorativo. Di sicuro è un’occasione di crescita e scoperta, in cui ciascuno è chiamato a scegliere se fare ‘tutto’ (o almeno provarci) con quel bagaglio di ‘cose inutili’ apprese a Scuola lungo il proprio percorso di studi, o se accontentarsi di fare ‘solo delle piccole cose’.
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