di Isabella Monte | 27 Maggio 2024
Il tempo è un anziano signore un po’ burbero: a volte ci porta via ciò che più caramente custodiamo, altre volte ci dà cose che non avremmo mai osato desiderare. E lo fa arbitrariamente, di solito con ironico sadismo.
Ciò che resta, inevitabilmente, sono le tracce che ci lascia nella mente.
Siamo un agglomerato di ricordi dalle sembianze umane, in fin dei conti, ed è questo che ci diversifica e, allo stesso tempo, ci accomuna tutti.
Così, nel contemplare distrattamente una storica cabina telefonica che viene portata via dalla piazza del paese nella quale, sonnecchiante, ha visto avvicendarsi stagioni sempre più impazzite, ci si accorge che alcuni di noi appartengono allo stesso momento nella storia.
Un momento ben definito in cui, come in un time lapse vorticoso, ci passano davanti agli occhi frammenti di vita ad altissima velocità : le musicassette, i walkman, i floppy disk, l’omino a cubetti di Italia ’90, la collezione di schede della Telecom, i gettoni, le cabine telefoniche e chissà quanti altri amarcord glassati di melassa e nostalgia.
E sebbene l’evoluzione e il progresso siano fisiologici e necessari, appare quantomeno bizzarro che proprio in quel preciso momento della storia, con la schiena appoggiata alla cabina di un telefono a gettoni, c’era qualcosa che niente di ciò che oggi vediamo sui multipollici display LCD su cui chiniamo la fronte in maniera spaventosamente continuativa può restituirci: una sincera e meravigliosamente sognante fiducia nel futuro.
Foto di Lino Petito
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