di Valentina Perrone | 14 Maggio 2013
RECENSIONE | Ho trovato, a fatica, il coraggio di vivere. Ora, mi manca, completamente, il coraggio di morire.
Vittorino Andreoli dà così inizio alla riflessione sulla fragilità umana, adoperando, come al suo solito, termini estremamente semplici che giungono dritti al cuore del lettore.
L’uomo di vetro racconta della fragilità insita nella condizione umana, nel tentativo (forse azzardato) di elevare la fragilità a virtù, in un’epoca palesemente dominata dall’arroganza e dal decisionismo. Per Andreoli la fragilità non è un difetto o un handicap, bensì la netta espressione della condizione umana. Non è povertà, intesa come mancanza di risorse mediante cui sopravvivere. Non è l’incapacità di fare o di pensare, non si lega ad un difetto intellettivo o emotivo. “È semplicemente una visione del mondo che si lega all’esistenza, non al singolo che ne è parte. È la visione del proprio essere nel mondo, è la percezione che deriva dal dolore, dal senso del limite” (p. 29).
Tutta la riflessione si aggancia costantemente alla vita personale e professionale dell’autore, al suo essere uno psichiatra e prima ancora un uomo, in grado di provare compassione e di scorgere, d’innanzi ad innumerevoli patimenti, la pienezza delle piccole gioie quotidiane.
Secondo Andreoli, la fragilità prende forma dalla paura, plasmandosi come modo di percepire se stessi e come programma di vita. Ecco perché essa, unitamente alla debolezza che ne deriva, non costituisce un limite ma una risorsa, quel di più che consente di guardare al potere (e alla ricerca del potere) come ad un’anomalia, ritenendoli “un incomprensibile errore di prospettiva umana” (p. 29), che genera odio e discordia tra gli individui e tra le diverse realtà in cui gli individui si riconoscono e si identificano. La fragilità come visione del mondo da parte del singolo, il quale, a seconda dell’umore, a seconda della paura che vive e del dolore che ha sopportato o continua a patire, tingerà quel mondo di tinte differenti.
A dominare tutta la riflessione è la paura suprema di ogni uomo, la paura delle paure, ciò che più di ogni altra tensione affanna gli animi umani. “La condizione umana gira intorno alla morte, alla paura della morte” (p. 18). Si può provare a non pensarla, ma basta un dolore difficilmente comprensibile e riaffiora il timore della fine. “La percezione della fine è dentro ciascuno di noi, è uno stigma della specie, un marchio della sua caducità. La fragilità è dentro l’anatomia dell’uomo, fa parte della sua sostanza costitutiva che non è di ferro, ma di carne da macello” (p. 20).
Partendo dall’inevitabile constatazione dell’uguaglianza degli uomini d’innanzi alla morte, Andreoli passa in rassegna il differire degli uomini saggi dai potenti, a sostegno della sua tesi che eleva la fragilità a virtù indiscussa dell’essere umano.
Secondo l’autore, la fragilità genera saggezza e il senso di perfezione genera potere. E la saggezza, a sua volta, produce serenità. Il saggio è colui che, a differenza del potente, aspira a non essere condizionato dalle cose, ma semmai dalle relazioni. “Il saggio guarda alle persone come ai propri simili e li osserva con curiosità e quindi con la voglia di conoscerli e di ascoltarli” (p. 34). Per il saggio la relazione è un insieme che genera novità, arricchendo sé e l’altro. Per il potente, invece, l’altro costituisce un pericolo: egli riduce l’altro alla sua possibilità di attaccare e di mettere in discussione ciò che possiede.
La condizione del potente, secondo Andreoli, produce felicità ma non serenità. La felicità è una sensazione che scaturisce d’innanzi ad una conquista strepitosa e che si attiva in seguito ad uno stimolo di piacere. Terminato lo stimolo, anche la reazione finisce e rimane il vuoto. La serenità, al contrario, è uno status continuo, “una condizione che non tramonta poiché si lega a una visione del mondo che si fa strutturale al vivere” (p. 35).
Seguendo le fasi dell’evoluzione umana, Andreoli traccia i volti più noti della fragilità. La fragilità dell’infante, che con la sua tenerezza riattiva tutti gli istinti protettivi, tutte le attenzioni degli adulti, e che nonostante questa sua debole condizione resiste, in un gioco continuo di fragilità emerse e superate, di abilità prima mancanti e poi conquistate.
La fragilità dell’adolescente, che vede compiersi la crisi del corpo, di un corpo che tradisce, che muta, che scompare per poi ripresentarsi con caratteristiche mostruose, che sembrano non appartenergli. Un corpo che trascina dentro di sé il mondo ed emerge in tutta la sua inadeguatezza e la cui fragilità si lega al bello e al brutto, due parametri estremamente variabili ma per l’adolescente indiscutibilmente assoluti.
E poi la fragilità dell’adulto, collocato nell’era dell’identificazione sociale, legata indissolubilmente al ruolo e, pertanto, alla ricerca di un’occupazione, che lo soddisfi e gli consenta di identificarsi in essa, e che possa al tempo stesso costituire il punto d’avvio del processo di creazione di una famiglia propria.
Infine la vecchiaia, in cui ritorna la fragilità del corpo, temendo nuovamente per il suo mutare: se nella crescita si temeva la mostruosità, ora, nel declino della vita, si teme che il corpo si ammali, che non possa più funzionare, rilevando tutti i limiti che circoscrivono la propria vita e la frenano. E’ quella fase dell’esistenza in cui si vive più che mai la fragilità d’innanzi alla morte. Maledetta morte. L’inevitabile fine che getta un’ombra sulla bontà della vita.
Quello raccontato da Andreoli, e in cui il lettore può serenamente riconoscersi, è un uomo che per tutta la vita è un uomo di vetro, messo alla prova dalle mille fragilità che costantemente lo circondano. Ma quelle stesse fragilità invece di indebolirlo lo rafforzano, favorendo la relazione, consentendogli di ricercare l’altro per ottenere vicinanza e conforto e che l’altro, in virtù del suo essere ugualmente fragile, è pronto a donargli. E’ la fragilità che aiuta l’altrui fragilità.
Paradossalmente, l’uomo fragile è l’uomo forte, in un’idea di fragilità come “origine della comprensione dei bisogni e della sensibilità per capire in quale modo aiutare ed essere aiutati” (p. 177). Un uomo, quindi, che è come il vetro: più è fragile, più splende.
11 Febbraio 2014
12 Febbraio 2016
24 Gennaio 2016
28 Novembre 2017
26 Gennaio 2018
2 mesi ago
26 Gennaio 2018
Tutti i cittadini italiani portano in dichiarazione fiscale...26 Gennaio 2018
Nel calcolo dell’Indicatore Situazione Economica...26 Gennaio 2018
La formula di ospitalità del bed and breakfast (B&B)...26 Gennaio 2018
L’assegno al nucleo familiare (ANF) è un sostegno...