Cultura /
di Redazione | 19 Aprile 2015
LECCE | Sezione Ulivo D’oro, Concorso Lungometraggi Europei.
Agnes un’insegnante della provincia tedesca di Hesse si reca a Berlino per identificare il corpo di una ragazza che potrebbero essere quello di sua figlia adolescente, scappata di casa. Ma non è così. Agnes quindi, nella speranza di trovare una soluzione per il suo angoscioso caso, resterà a Berlino, scendendo negli anfratti più nascosti della città.
Qui incontrerà Ines, una spietata parassita sociale che, dichiarandosi una pittrice nasconde la sua vera natura di truffatrice. Questo le permetterà di incunearsi nella vita della pacifica Agnes. Fra le due donne si instaurerà uno strano gioco, dove la continua ricerca dell’altra, fra minacce e tensioni, rappresenta l’unica via d’uscita. In questo modo l’apparente conflittualità tra i due caratteri evolverà in una dipendenza dove il più forte e la più debole si confondono.
Lo sguardo della regista tedesca scruta dal vicino i rapporti tanto diretti e tanto più spietati che si sviluppano nel contesto ristretto della famiglia, dove il vero io riesce a manifestarsi con più vigore. Le vicende diverse vissute sulla pelle delle due protagoniste quindi, invece di allontanare, le spinge a scontrarsi e a capirsi.
Lena è una ragazza disabile, a causa di ciò per poter essere inserita nel normale ciclo di studi, dovrà seguire un programma differenziato in una classe speciale, frequentata da alunni con disabilità.
Questo film si aggiudica il premio speciale della Giuria, con la seguente motivazione:
“ il film Correction Class… adotta un linguaggio cinematografico molto appropriato per descrivere questa storia simbolica, con un fantastico uso della macchina da presa da parte del cameraman Fedor Strichev, capace di dare in ogni momento l’impressione che si tratti di un documentario e non di una fiction…”
Non si può che essere concordi con il giudizio espresso dai membri della commissione assegnatrice l’ambito premio, poiché questo regista di Mosca, classe 1988, è riuscito a imprimere una tale crudezza e spietatezza nelle scene da lasciartene l’odore dopo venti docce, dopo che il normale scorrere della tua vita ti ha ripreso, ripensi alla scena raccapricciante che si svolge lungo i binari, o all’incendio della sedie a rotelle. Tutte scene di una a-umanità atroce espressa da ragazzi con problemi che però, assurgono però a vere icone della nostra società indifferente e cattivissima nei confronti dei diversi.
Solo la semplicità tipica degli adolescenti, e in questo caso con problemi cognitivi, permetterà di donare ancora più potenza al racconto immensamente vero.
Con spiragli dati dalla storia d’amore di Lena con Anton, non accettata da nessuno, né dai loro compagni di classe né dai professori o dai genitori, proprio perché cosi normale.
E’ proprio la normalità raggiunta facilmente da questi due ragazzi a dar fastidio, perché nessuno vuol credere che sia bastato cosi poco per evincersi dal fondo. E’ stato sufficiente l’amore. La vera forza del sentimento più nobile che possiamo esercitare, cosi intenso da poter abbattere pregiudizi, inabilità e distanze.
E’ una storia che trasmette rabbia e impotenza. Rabbia nel vedere l’ottusità degli adulti
“ normali”: gli insegnanti che vedono l’insegnamento nella classe speciale come un peso cui disfarsi il più presto possibile, i genitori che non capiscono la fase di transizione dei loro figli e la collaboratrice scolastica che crede che la malattia di Lena possa contagiarla.
Si rimane pieni di rabbia e impotenti di fronte a tanta spietata stupidità.
L’apoteosi sarà raggiunta quando si scoprirà l’amore dei due ragazzi, ma quando si arriva al fondo… prima o poi si riemerge, grazie ai veri valori e sentimenti.
Chérif è un trentenne che vive con i suoi genitori, per sbarcare il lunario lavora come addetto alla sicurezza davanti le casse di un grande magazzino.
In realtà il suo sogno è diventare infermiere professionale e studia per superare il difficile esame. Il tempo libero lo trascorre con i suoi vecchi amici del quartiere dove è cresciuto, fino a quando non incontra una maestra, di cui si innamora.
I suoi guai nascono durante lo svolgimento della sua mansione, dove subisce le provocazioni di un gruppo di ragazzini. Per farli desistere accetterà di aiutare un suo vecchio amico che si occupa di affari poco leciti.
E’ probabile che questo sia il film più deboli del lotto, perché non penetra fino in fondo lo sguardo nell’anima del protagonista. Non si ravvisa quando i suoi turbamenti interni prendono il sopravvento sugli eventi e quando il contrario, di modo che la preparazione del finale non risulta adeguatamente preparata. Non si evidenza il percorso evolutivo che ha condotto Chérif alla scelta finale.
Pur tuttavia non è giusto assegnare un voto negativo alla pellicola francese, perché pur non differenziandole precisamente ha l’indubbio merito di illustrare sia i’interiorità del personaggio che il suo vissuto esterni, ovvero la realtà tangibile che lo circonda, e ovviamente lo condiziona.
Un secondo merito è quello di trattare l’argomento delle diversità culturali tra arabi, africano ed europei. Teatro di questo crogiuolo di razze è la periferia di una città francese, proprio lo scenario più adatto per affrontare questo tema, poiché In Francia storicamente la convivenza è più radicata nella realtà.
Alkis e Machi lottano per donare un alone di normalità al loro nucleo famigliare, ma trovano difficoltà nel gestire le stranezze della loro figlia, lemonia.
Il menagè famigliare è funestrato dai rapporti tesi che legano i due genitori, rapporti che spesso sfociano in liti e litigi. Lemonia reagisce minacciando i suoi genitori con un esplosivo, attraverso il quale dirigerà le loro azioni.
Il resto della storia si poggerà su un equilibro psicologico sottile, mostratoci attraverso delle riprese molto secche, ravvicinante che donano al tutto un aspetto teatrale.
La giuria assegna a questo film il premio più ambito, quello dell’ulivo d’oro.
Con la seguente motivazione: “A Song of my mother va l’ulivo d’oro per la limpidezza e l’apparente semplicità con cui si svolge il racconto. attraverso il confronto tra un figlio urbanizzato e un’anziana madre che sogna di tornare alla vita del villaggio, il film riesce a comunicare con grande sensibilità i conflitti esistenziali e sociali in un paese percorso da inarrestabili cambiamenti e contraddizioni”
Ali è un giovane insegnante che vive con l’anziana madre Nigar a Istanbul, in un quartiere rifugio di numerosi rifugiati curdi. Ma Nigar è convinta nel ritornare nel suo vecchio villaggio curdo, per ritrovare i suoi vecchi vicini, a questo scopo ogni mattina prepara le sue cose e si mette incammina per far ritorno al suo natio borgo. Alì asseconda questo suo desiderio, fino a quando non scoprirà che la sua fidanzata aspetta un bambino. In bilico tra la sua vecchia famiglia e la nuova, il protagonista dovrà fare la sua scelta.
La sua storia in bilico tra passato e futuro, in perenne contrasto tra la sicurezza e l’indecisione di un futuro è raccontata con efficacia da una regia che segue le vicende senza sovrastarle, anzi seguendone le inclinazioni.
Premi assegnati dalla giuria composta da: Peppi Corsicato, Bruno Torri e Francesca Marciano.
Premio Ulivo d’oro: Song of my mother.
Premio per la miglior sceneggiatura: My skinny sister.
Premio speciale della giuria: Corrections class.
Premio per la miglior fotografia: Superworld.
Chash Prize: Anemistiras.
Altri premi:
Premio Mario Verdone: Più buio di mezzanotte di Sebastiano Riso.
Premio Emidio Greco: per il cortometraggio la Baracca di Alessandro de Leo e Federico di Corato.
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