di Cosimo Centonze | 29 Dicembre 2014
RECENSIONE | Originalità. Dovrebbe essere l’elemento caratterizzante ogni artista, e correlativamente ad essa la sperimentazione e la curiosità. Virtù che dovrebbero dirigere ogni buon autore di cinema insieme, ovviamente, alla passione e alla competenza. Ma in un Paese stanco e arrendevole come il nostro, ormai in decadenza dal punto di vista intellettuale, quanti registi innovano, sperimentano cose nuove o si buttano a capofitto in progetti inediti? Pochissimi.
In fondo, quando si è giunti ad avere una certa competenza nello scrivere soggetti con trame sempre uguali o dirigere film indifferentemente simili gli uni agli altri, che peraltro rendono tantissimo al botteghino, perché variare? Rincorrendo il rischio di perdere successo e fama, e soprattutto ricchi contratti? Perché sorprendere un pubblico che, dopo anni e anni di monotona televisione spazzatura con fiction fotocopia ( vita di un Santo, o di un uomo illustre, famiglia ricca che possiede una qualche azienda, rivalità in amore ecc ecc…) ha dimostrato che non vuole essere sorpreso?
Davvero sapremmo distinguere a quale film precisamente appartiene una qualsiasi scena di un film di Aldo, Giovanni e Giacomo ( per carità, alcuni, i primi, stupendi) o dei vari cine-panettoni? O del buongustaio Ozpetek? A Gabriele Salvatores, deve essere riconosciuto, invece, il premio dell’originalità. E’ uno dei pochi registi italiani illuminati da questo punto di vista, proprio lui che dopo l’oscar di Mediterraneo avrebbe potuto tranquillamente riposare sugli allori, invece, malgrado i passi falsi di Denti e di Amnèsia, ha sempre cercato di suscitare nello spettatore sensazioni nuove. Difficilmente un suo film rassomiglia al precedente, sia per i temi trattati ma anche per composizione della scena. Ad esempio il suo precedente lavoro, Italy in a day, realizzato con migliaia di filmati realizzati da tutti italiani che descrivevano un brandello della loro giornata, rappresenta quanto più di anticonformista possibile.
I meriti del film non si fermano alle idee del regista: il racconto seppur mai incalzante non annoia mai. Certo, è altamente probabile che un coetaneo di Michele, alle prese con le stesse difficoltà del protagonista, potendosi immedesimare con esso, sia in grado di apprezzare maggiormente ogni riferimento suggerito dalle vicende.
La metafora del ragazzo invisibile simile l’adolescente medio che tenta di tutto per apparire tale di fronte ai primi sussulti amorosi è facile da scoprire ed è un tema che il regista ha spesso toccato in passato rivolgendosi anche a ragazzi più piccoli ( Io non ho paura). E’ evidente come l’autore cerchi di sottolineare sia le asperità della prima giovinezza, sia il fatto di come il mondo visto da loro sia diverso, più curioso e più innovativo. E’ come se egli voglia farci capire che una diversa prospettava sul mondo possa esserci di aiuto per affrontarlo con maggiore leggerezza, così senza ragione, come un ragazzo insegue un aquilone.
Purtroppo per quanto si possa apprezzare un regista, non si deve tacere circa le pecche dei suoi lavori. Per questo, per quanto si possa amare l’idea di un italiano di confrontarsi con un genere mai toccato dal suoi connazionali, quello del filone dei supereroi Marvel, per intenderci, non si può trascurare il paragone con l’apripista. Così che se un imprenditore volesse costruire auto da corsa, il paragone con la Ferrari sarebbe automatico. In questo senso il film delude profondamente perché gli effetti speciali, lasciano altamente a desiderare (il budget inferiore agli americani, comunque era notevole), rasentando il ridicolo, ad esempio nelle scene di combattimento sull’avamposto dei cattivi.
Il ridicolo è rasentato anche dalla gran parte degli attori. E’ evidente come il pur bravissimo Fabrizio Bentivoglio, sia poco credibile nella veste dell’oscuro psicologo, così come Valeria Golino sia poco incisiva sia nella parte di madre che in quella di poliziotto. Stendiamo un velo pietoso sui ragazzini, che , essendo agli esordi, non possono che imparare… ma insomma un bullo più bullo di Brando che ci voleva a trovarlo? Un viso più spietato di quello lo si trova in qualsiasi sala-giochi..orsù. Ma poi quanto è credibile un bullo campioncino di tennis? La figura dell’oscuro personaggio che segue Michele poi è davvero risibile. Ha la stessa credibilità di Adam Kadmon… I cattivi poi dovrebbero avere delle facce truci, imperscrutabili, uno sguardo vitreo, tanto da venirti in mente la notte svegliandoti di soprassalto. Come dimenticare la prima inquadratura di Alex e dei suoi drughi, con i loro occhi fissi tendenti al vuoto, tanto da rimanerci scioccati, insomma le vette lasciamole a Kubrick, però accidenti..non stiamo parlando di un pivello alle prime armi. Per fortuna c’è Ksenia Rappoport che quando c’è da fare una russa risoluta non delude mai.
Al netto di queste nefandezze il film rimane godibile per tutta la famiglia e permette di trascorrere una serata diversa lontano dalle televisioni e, di questi tempi, è già grasso che cola.
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