di Simona Colletta | 31 Gennaio 2015
Nel corso della manifestazione organizzata presso il Museo Storico di Lecce, in occasione della Giornata della Memoria, è stata consegnata ad Antonio Parente, di Veglie, la Medaglia d’Onore della Presidenza della Repubblica in memoria del padre Raffaele Parente, alla presenza di Sua Eccellenza Giuliana Perrotta, Prefetto di Lecce e del Sindaco di Nardò, avv. Marcello Risi.
Raffaele Parente fu un militare internato durante la seconda guerra mondiale; nel 1941 fu chiamato alle armi ed arruolato nel 9° Reggimento Artiglieria d’Armata.
Nel 1945, mentre si trovava in Grecia, fu catturato dai nazisti e fu deportato, insieme ad altri militari, nel campo di concentramento di Falkenau in Germania.
Affrontò un lungo e difficile viaggio durato 22 giorni in un treno usato per il trasporto di bestiame, dove purtroppo non tutti riuscivano a sopravvivere a causa delle drammatiche condizioni: il numero delle persone era infatti sempre molto elevato rispetto all’effettiva capacità dello scompartimento ed erano quindi costrette a restare corpo a corpo senza possibilità di muoversi liberamente, senza cibo e senza acqua ed in pessime condizioni igieniche.
Chi riusciva a sopravvivere al terribile viaggio, una volta giunto a destinazione, veniva spesso destinato ai lavori forzati. E questo fu anche il destino di Raffaele, a cui fu negata la luce del sole per tre lunghi mesi a causa del duro lavoro in miniera.
Unica fonte di sostentamento erano bucce di patate, un po’ di pane raffermo ed acqua, situazione che aveva chiaramente debilitato tantissimo il suo organismo e peggiorato la sua salute. Per questi motivi fu destinato a lavori meno pesanti e rimase prigioniero fino all’otto maggio 1945, quando poi fu liberato dalle truppe americane.
Antonio, insieme ad i suoi fratelli ha ricordato commosso la figura del padre: «La Medaglia d’Onore conferita dalla Presidenza della Repubblica è il giusto riconoscimento alla memoria di nostro padre che, con coraggio, rifiutò di sottomettersi ai tedeschi che incessantemente, in cambio della sua liberazione, lo invitavano ad arruolarsi nelle forze armate tedesche e soprattutto nelle forze armate della Repubblica Sociale Italiana. Ma lui, pur consapevole che il suo rifiuto lo avrebbe portato a una detenzione dura nei campi di concentramento nazisti e alla eventuale successiva soppressione, non si piegò e non tradì mai la sua patria e i suoi ideali. Lui è stato più fortunato di altri militari italiani internati che come lui non hanno voluto abiurare; infatti, così come risulta dai registri dei decessi compilati dai tedeschi, sono 78.216 persone che sono state sacrificate. Riguardo a quel periodo, mio padre è sempre stato ermetico – continua Antonio – non voleva raccontare la sua triste esperienza, perché provava una sorta di vergogna per quello che aveva subito, facendo scattare nel suo intimo un vero e proprio meccanismo di rimozione della realtà. Come se tutto quello che gli era successo fosse capitato a qualcun altro. Per questo evitava il discorso affermando: apprezziamo meglio i valori veri e belli della vita, teniamoci stretta la pace e la libertà, perchè la guerra porta con se, sempre odio e devastazione – ed aggiunge – un riconoscimento importante per noi e per la memoria di nostro padre, anche se giunge a distanza di 12 anni dalla sua morte avvenuta il 07/09/2003, facendo trascorrere troppi anni, prima che le istituzioni si ricordassero di onorare degnamente il suo la sua sofferenza».
A conclusione del suo intervento Antonio ha ringraziato le autorità presenti, sottolineando i valori della libertà e della pace, affinché gli orrori avvenuti nei campi di sterminio non avvengano mai più e le nuove generazioni possano maturare una nuova coscienza civile contro le guerre ed ogni forma di odio e violenza per costruire, da un triste passato, un futuro migliore.
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