di Cosimo Centonze | 16 Febbraio 2014
RECENSIONE | La vita di Ron Woodroof, si dipanava allegramente tra rodei, scommesse clandestine e ogni tipo di vizio: alcool, droghe e una certa dipendenza dal sesso, fino all’apprendimento di una notizia sconvolgente: il virus dell’AIDS, lo porterà, nel breve lasso di tempo di trenta giorni, alla sua dipartita.
Non è certo la prima volta che il mondo del cinema, e in particolare quello americano, dedica la propria attenzione a quello che venne definito il male del secolo, che negli anni ’80 e ’90, mieteva un preoccupante numero di vittime, come non ricordare a tal proposito, un titolo per tutti, il toccante Philadelfia di Jonathan Demme. La vera novità che si annida in questo lavoro è rinvenevole nel fatto che il personaggio interpretato dal gigantesco e, per l’occasione emaciato Matthew McConaughey, riesce a conservare, dentro di sé, una assoluta e contagiosa forza combattiva. In riferimento a questo aspetto, occorre riconoscere a Jean-Marc Vallée, un assoluto merito: è riuscito a non scadere nella retorica scaturente da una scelta fin troppo facile, che gli avrebbe garantito anche, se possibile, un consenso maggiore e più immediato, ovvero fornire al cambiamento interiore del protagonista degli elementi di facile percezione, ad esempio un pianto, un momento di crisi o una parola dolce al suo socio, per non parlare di una soluzione ancora più facile: isolare il malato, escluderlo dalla vita sociale, affossandolo in un letto d’ospedale.
E’ da rilevare, invece, come il regista canadese, abbia operato una scelta più matura e consapevole, meno hollywoodiana, il cambiamento (non dell’aspetto fisico, ma della personalità) è rappresentato attraverso un calvario reale, profondo e a tratti confuso e che spesso si staglia tra i fili invisibili dell’io. Ciò permette a questo film di acquisire un elevato grado di concretezza e spessore, difatti un protagonista che, vede materialmente crollare su di sé un macigno cosi pesante, percorre la strada più difficile: consistente non tanto in quella di combattere per la propria sopravvivenza, ma un’altra: rimanere sé stesso. Combattere conservando la sua lucida follia e la sua malsana spocchia, le quale gli permetteranno di opporsi alla FDA (l’agenzia governativa per gli alimenti e i medicinali). Tutto il film si regge sulla forza d’animo di quest’uomo cadaverico che si trascina da un’ ospedale all’altro, continuando a manifestare con sferzante fierezza la sua omofobia ma al contempo il suo disgusto nei confronti dei ricchi e potenti. La credibilità del personaggio è rafforzata dal suo rapporto con gli altri protagonisti della storia, dal già citato trans Rayon (Leto) alla risoluta dottoressa Eve Saks (Garner).
Il rapporto con il primo è fantastico, ed è forse l’elemento-momento più bello del film tutto. Tutte le loro conversazioni sono incentrate sulla prepotenza di Ron, sull’insulto e sull’ esigenza di distacco dal socio ( tale solo per mero vantaggio economico, quindi), ma è facile capire come fra i due stia nascendo un’amicizia molto forte, anche nella trattazione di questo rapporto, è stato notevole il lavoro del regista di The Young Victoria, perché lo ha rappresentato in modo asciutto, pulito e veritiero, senza nulla di spettacolare o folkoristico.
Solo la scena ambientata nel supermercato quando, i nostri eroi affrontano il vecchio amico di Woodroof, TJ (Rankin), si caratterizza per la sua drammaticità esteriore, ma a quel punto del film, quando tutto era così delineato e preciso, ciò non rappresenta più una scelta facile, una via di fuga e di salvezza, ma un punto d’approdo sofferto, giusto e meritevole di sottolineatura. Anche il rapporto d’affetto con la dottoressa è caratterizzato dallo svincolarsi dalla comoda e appagante retorica, esso permette inoltre, di far capire come, in realtà, un reale cambiamento dentro il protagonista, vi è stato, basta notare come è cambiato il suo rapporto con le donne, da merce di scambio a persone degne di ricevere intime confidenze e soffici attenzioni. La malattia permette al rude texano di allargare i propri orizzonti e cercare ( con molta fatica) di accettare anche i diversi e soprattutto gli omosessuali, difatti in un primo momento la cosa più grave della malattia era quella di sentirsi accomunato con le “checche”, mentre nel corso degli eventi ne diventerà addirittura amico e compagno di affari.
L’esistenza del protagonista si protrarrà fino al 1992, quindi diversi anni dopo le prime diagnosi dei medici, che gli davano solo un mese di vita, tuttò ciò grazie al suo carattere forte e strafottente che lo rese incurante di fronte ai rischi derivanti dalla sua attività di commercializzazione di farmaci formalmente non illegali ma, in pratica non prescrivibili dai medici statunitensi.
Anche Matthew McConaughey è stato protagonista di un cambiamento, oltre a quello evidentissimo fisico (tranquille ragazze trepidanti, è già tornato scolpito come prima!) un altro ben più importante: da sprovveduto protagonista di vuote commediucole (Come frasi lasciare in 10 giorni) ad assoluto protagonista di pellicole con ben altre prospettive, ad esempio il tarantiniano Killer Joe, salvo passare per il cameo di The Wolf of Wall Strett, memorabile la scena in cui fa da Virgilio al novizio Leonardo-Jordan, che sta per entrare nella selva della finanza, che l’oscar per il miglior attore protagonista scaturisca proprio da questo dialogo? Leo o Matthew? Ai posteri l’ardua sentenza.
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