di Cosimo Centonze | 05 Ottobre 2014
RECENSIONE | Spero vivamente che non sia la prima volta che leggete il nome di Hayao Miyaki e che, soprattutto abbiate già in passato, avuto la fortuna di vedere un suo film.
E se mai avete incontrato nella vostra strada questo fabbricante di sogni sarebbe oltremodo opportuno che voi lasciaste i vostri affarucoli terreni e dedicaste qualche ora a voi stessi.
E’ come entrare in centro benessere, la visione di un suo cartone. I vostri occhi saranno massaggiati da colori limpidissimi, come ad esempio l’azzurro del mare che si fonde col cielo. Ma non solo, infatti il maggior beneficio sarà riservato alle vostre anime.
Si perché i tutti i suoi lavori sono uno sprofondare nei buoni sentimenti, nel vero amore senza contrappesi, la virtù del singolo che si impegna per salvare anche chi non lo merita, l’amicizia vista come uno del valori più alti esistenti o il coraggio.
Ci sono molti elementi presenti in questo lungometraggio facilmente rinvenibili anche nei precedenti.
Sicuramente il volo. Questa passione, radicata così forte nel genio giapponese, gli è deriva dal padre. Così come risalenti alla sua infanzia sono le altre componenti comuni: come la guerra, vista come il male assoluto che riecheggia, oppure l’eterna lotta tra bene e male.
Certamente i bambini. Sono loro i veri protagonisti delle vicende create dalla sua matita, anche buffi e lamentosi ma frequentemente più risoluti di molti grandi, soprattutto i cattivi.
Miyazaki esprime una grande attenzione nei confronti dei bambini e degli anni in cui si è giovani, dicendo che «il paradiso risiede nei ricordi della nostra infanzia. In quei giorni eravamo protetti dai nostri genitori ed eravamo innocentemente incoscienti dei tanti problemi che ci circondavano». La sua visione dell’infanzia nella società contemporanea è tuttavia pessimistica, valutando negativamente la dipendenza dei bambini dal mondo virtuale e la mancanza di contatto con la natura. Proprio per questo, egli crea i suoi film ispirato dai bambini vicino a sé, con l’obiettivo di capire il loro mondo.
Ovviamente tutto il suo cinema d’animazione sospeso tra bimbi voltanti e sentimenti oramai dimenticati si ciba costantemente della dimensione onirica, una realtà in cui la vera essenza umana riesce a liberarsi dalle preoccupazioni terrene fino ad aderire, come, appunto, a quella dei bambini.
Ecco perché la loro presenza diventa cosi importante, perché essi sono gli unici che possono farci apprezzare ancora la realtà, vista con gli occhi del fanciullino.
Questo suo ultimo lavoro però, abbandonando la dimensione puerile, affronta una vera e dolorosa storia d’amore.
Questa importante innovazione, che rappresenta il tema centrale di tutta la seconda parte del cartone animato (di questo in fondo si tratta), mal si amalgamerebbe con la presenza di bambini.
Non che in passato il disegnatore nipponico non abbia affrontato questo nobile sentimento anche allorquando sbocciava tra due fanciulli, certo con una classe e una leggerezza difficilmente riscontrabili altrove , ma in questo caso, la storia sentimentale assume dei toni inusitati: uno su tutti la sofferenza.
Intesa soprattutto come l’impossibilità di poter dare aiuto alla persona amata che soffre.
Potrebbe trattarsi di una novità quella di aver affidato il ruolo del protagonista a un giovane uomo e non, come spesso, accade a una ragazza.
La ragione di questa scelta è radicata nel fatto che Jiro rappresenta il vero alter ego del suo creatore, ovvero un bambino divenuto grande che ha continuato a credere nel suo sogno di “ guarire i ciliegi quando rossi di frutti li vedevo feriti”.
Ora, io spero, con queste quattro parole, di avervi fatto venire la voglia di guardare questo film e tutta la sua filmografia, affinchè possiate trovare anche voi la vostra infanzia perduta.
Io, se potessi, farei proiettare i suoi film di animazione nelle scuole, oppure nelle piazze, perché di bambini che devono ritrovare i sogni, i buoni sentimenti e l’educazione ne siamo pieni così come il cielo è pieno di nuvole in viaggio che vanno e che vengono.
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