di Redazione | 09 Marzo 2015
«Una graduatoria che fa acqua da tutte le parti». É così che il consigliere d’opposizione Massimiliano Guerrieri (L’Altra Primavera) definisce la graduatoria pubblicata dalla Prometeo srl, società in House del Comune di Guagnano, relativa al conferimento d’incarichi a tempo determinato in sostituzione del personale assente. Ecco cosa dice a riguardo.
«Una graduatoria senza gradualità è il risultato di una selezione inutile, viziata, illegittima. Uno strumento inefficace che spalanca le porte al contenzioso e che indebitamente può alimentare dubbi e sospetti per via della sua solenne ambiguità.
Mi riferisco, nello specifico, alla graduatoria pubblicata dalla Società in House Prometeo srl. La selezione pubblica per il conferimento d’incarichi a tempo determinato in sostituzione del personale assente fa acqua da tutte le parti. Tanti sono i dubbi sorti sulla capacità di gestione aziendale, altrettanti i sospetti che alimentano l’ombra immane della politica nelle vesti di eminenza grigia dietro ogni operazione.
Quel che contesto in modo radicale, tralasciando i tanti difetti di forma, è la sostanza dell’avviso pubblico. Se la finalità è «costituire una graduatoria», allora, il risultato finale dovrà essere disporre alla fine del procedimento di uno strumento in grado di fornire un elenco nominativo tendenzialmente rigoroso in cui discriminazione e discrezionalità vengano sottratte all’arbitrio. Entro subito nel merito dell’avviso pubblico, cercando di porre l’attenzione sugli errori macroscopici all’interno di una cornice carica di elementi di controsenso.
Faccio una breve premessa per sgombrare il campo da ogni equivoco. La prima cosa che va detta è che una società partecipata, interamente finanziata con soldi pubblici, non va confusa con un ufficio distaccato dei servizi sociali. Un altro punto importante è che la stessa, per quanto sia giuridicamente un soggetto di diritto privato, non può sentirsi esente dal rispettare i principi base del buon andamento, dell’imparzialità e della trasparenza. È doveroso, pertanto, sapere che efficacia, efficienza ed economicità restano pur sempre principi d’indirizzo.
Se questi semplici e pochi elementi fossero stati adottati, sono certo, un risultato così obbrobrioso non ce lo saremmo ritrovato: un bando «indetto per soli titoli» è stato, di fatto, trasformato in un’insensata valutazione di facciata.
Elenco su tre punti lampanti la critica di merito che avanzo:
1. L’ISEE non può considerarsi un titolo;
2. L’ISEE non può considerarsi sufficiente;
3. La tabella di valutazione ha un effetto ottico seducente;
Punto uno. L’articolo 10 dell’avviso in questione stabilisce i criteri per la valutazione dei titoli e attribuisce punteggio unicamente in base all’ISEE (2013) del nucleo familiare. Per l’esattezza fino ad un massimo di 7.499 euro. Chi ha dichiarato nell’anno un reddito superiore, non ha avuto diritto a partecipare. Nell’articolo 4, requisiti generali di ammissione, si ammettono a partecipare alla selezione solo persone con reddito inferiore a quella cifra: non si capisce francamente perché una famiglia composta da cinque persone e con un reddito di pochi euro sopra la soglia debba essere discriminata. Tuttavia, la vera sorpresa dell’art. 10 è che l’unico “titolo” ammesso a valutazione possa essere la dichiarazione dei redditi. Sì, badate bene: non un titolo di diploma, di licenza media o elementare. Solo l’ISEE costituisce “titolo” di selezione. Nemmeno se avevi avuto un’esperienza lavorativa pregressa nel settore di candidatura, potevi essere meritevole di sentirti titolato. Ora, per nozione di “titoli”, riferita a concorsi per pubblici uffici, ho sempre pensato che si afferisse a qualcosa di meritato e acquisito nel tempo, con l’esperienza o la formazione, da cui se ne può dedurre un documento di prova. Ma se un dubbio monta, fugarlo è necessario: la verifica semantica mi dà ragione su tutti i principali dizionari. Non so se qualcuno abbia mai pensato che «selezione per soli titoli» potesse riferirsi alla condizione economica, come in questo caso: meno reddito possiedi e più sei titolato.
Stavolta, devo dire, mi sento disarmato. Non saprei che dire: siete fantastici! Avete aggiunto un ulteriore significato alle già notevoli estensioni del termine “titolo”: “titolo di disagio”.
Punto due. Ad uno svarione della portata descritta al punto precedente non si deve offrire nessuna via di fuga. Spiego perciò, perché, a parte l’uso inappropriato, l’ISEE applicato nella modalità prevista dal bando non può essere considerato uno strumento a favore né dei più deboli né delle famiglie bisognose. Sono pronto a scommettere che sarebbe quella la giustificazione con cui qualcuno cercherebbe di correre ai ripari per smarcarsi dall’errore marchiano. Sostanzialmente sono due i motivi che mostrano l’arbitrarietà e la parzialità dell’uso dello strumento reddituale come unico indicatore di disagio. Come primo motivo, va detto che in un territorio come il nostro, luogo in cui una parte consistente dell’economia si muove nel sommerso, l’ISEE non può essere considerato uno strumento di misurazione oggettiva del disagio. Il secondo è che l’assegnazione del punteggio, così come formulato e tenendo conto unicamente del calcolo ISEE , poco riflette la reale condizione del disagio. Faccio un esempio per chiarire il concetto: Tizio è componente unico e dichiara un ISEE di 5000 euro annui. Secondo i criteri di assegnazione del punteggio avrebbe ottenuto 30 punti. Caio è disoccupato ed ha una famiglia composta di coniuge, tre figli, di cui uno è disabile, dichiarando 5100 euro di ISEE otterrebbe, secondo i criteri del bando, 25 punti. Alla luce di questa simulazione, Tizio sarebbe avvantaggiato benché l’indicatore di reddito evidenziasse che Caio, con una quota simile, dovesse contribuire al sostentamento di cinque persone. In questo quadro, Tizio, che non è escluso possa arrotondare in nero, beffa serenamente Caio.
L’ingiustizia è così servita su un piatto d’argento per mano istituzionale.
Punto tre. L’ultimo nodo riguarda la tabella di assegnazione del punteggio. La grande genialata: una tabella, che chiamerei, a effetto ottico seducente.
La funzione di una graduatoria dovrebbe essere quella di stabilire i dettagli e le differenze tra candidati concorrenti al fine di facilitare attraverso la trascrizione numerica dei risultati una scelta non discrezionale. Qui, ci troviamo di fronte al caso in cui lo sforzo in tal senso è stato minimo o quasi nullo. Mi sono chiesto: a cosa può servire adottare una scala fintamente ampia, che va da 25 a 40, se in realtà i criteri di suddivisione in fasce di reddito permettevano di adottare una scala reale e ridotta da 1 a 4? Sono le seguenti le risposte che mi sono dato: perché fa figo, perché suona bene, perché puoi fare la spesa, perché fa scena, perché produce un effetto ottico seducente. Alla fine, quest’ultima è sembrata la più convincente. Ma va puntualizzato che sarebbe stato sufficiente assegnare un max di punti 4 rendendo così palese che la graduatoria non favoriva l’obiettivo della selezione, cioè la gradualità.
Viene, in questo modo, svelata l’illusione dell’uso di una falsa scala ampia e rigorosa per l’applicazione di un criterio ridottissimo e parziale. Tanto è vero che il risultato finale ottenuto dentro la graduatoria è un posizionamento a pari punteggio per molti candidati. Pensate che per il solo profilo di “servizio pulizie e accompagnatore scuolabus” sono undici i candidati collocati al primo posto al medesimo punteggio. E vi chiederete con quale ordine sono stati inseriti in graduatoria? Vi inviterei a non ridere. Il verbale della commissione recita: «a parità di punteggio i candidati sono inseriti in graduatoria in ordine alfabetico». E adesso chi sarà chiamato? Nell’articolo 10 del bando nel primo rigo si afferma: «per il reclutamento dei partecipanti si procederà per chiamata diretta in ordine di graduatoria». Dunque, prima Abelardo, poi Beniamino e dopo Callisto? Nello stesso articolo, qualche rigo dopo, leggiamo: «si rende noto, inoltre, che a parità di punteggio verrà data precedenza a coloro che hanno già prestato servizio nella prometeo srl». Wow, è fatta chiarezza! E nel caso in cui nessuno mai avesse prestato servizio? O, se più persone lo avessero prestato? In tutto ciò, resta il grande e vero mistero del perchè mai al servizio prestato non sia stato attribuito direttamente un punteggio per differirne meglio la composizione in graduatoria. Come, d’altronde, resta una curiosa eccezione scoprire che tra i documenti da fornire in allegato, secondo lo schema di domanda d’ammissione, non fosse minimamente menzionato il curriculum vitae.
Fatto sta che la tabella di valutazione è inutile e produce solo un effetto ottico seducente.
Note a margine. Affrontati i tre nodi centrali della critica di merito, mi permetto di aggiungere qualche altra riflessione. Si tratta di approfondire un capolavoro di discrezionalità servito alla faccia dell’imparzialità e del disagio, nella finzione dell’aiuto sociale, nell’illusione di una promessa di lavoro che mai arriverà e nell’idiota abilità di far ridere un intero pollaio.
Un altro nodo di merito importante che non ho trattato, riguarda il tema della trasparenza su cui voglio fare un rapido cenno. Devo ammettere, non è stato facile reperire il bando: assente negli archivi dell’albo pretorio on-line, come nelle informative del web istituzionale. Ho dovuto richiederne copia direttamente al personale degli uffici.
È mia opinione che per misurare quanto un ente possa essere ossequioso nei confronti di principi amministrativi fondamentali legati alla trasparenza e al buon andamento basti scorgere in filigrana la logica con cui viene redatto un bando e, in secondo luogo, la modalità con cui ne viene data diffusione. Un bando non è solo lo strumento con cui reperire risorse di cui si ha bisogno, nello spazio pubblico rappresenta molto di più: può permettere di conoscere lo scarto tra scrupolosità e leggerezza dell’amministrare; tra profondità e superficialità del valore di giustizia e di trasparenza. In altre parole, potrebbe rilevarsi, un buon indicatore per comprenderne alcuni elementi sulla qualità del governo di un paese.
Sul piano giuridico, tutta l’operazione, si configura, a mio parere, in una piena illegittimità. La Prometeo srl è una società che gestisce servizi pubblici locali a totale partecipazione pubblica. Caratteristica, questa, che prescrive l’adozione, attraverso provvedimenti interni, di criteri e modalità per il reclutamento del personale e per il conferimento degli incarichi nel rispetto dei principi di legge . Per sapere questo, nel dubbio, sarebbe bastato spulciare qualche riferimento normativo: stessi richiami a cui l’avviso pubblico si sottrae, presentandosi anche lacunoso in tal senso.
Veniamo infine alle responsabilità: il sindaco è il primo responsabile, il capo della società Prometeo è il secondo. La cosa che più sconcerta, stavolta, non è il filo sottile che permette ai nostri amministratori di barcamenarsi tra opacità e trasparenza o tra giustizia e ingiustizia, ma è la più totale assenza del principio di imparzialità, cardine dell’azione amministrativa. Un bando con tanta vacuità apre il campo a dubbi e sospetti che vanno chiariti. Circa sessanta persone hanno presentato domanda di candidatura e chissà quante avrebbero voluto farlo, ciascuna con i suoi problemi, tutte per far parte dell’esercito industriale di riserva; in loro, la sola speranza che un giorno arrivi un mezzo incarico, che mai li cambierà la vita, che con certezza sarà pia illusione. Vite precarie permanenti, violentate, ogni giorno, da un sistema che usa i corpi vivi della gente per autosostentarsi di potere. A questa umanità, umiliata e offesa dalla tirannia dell’irresponsabile leggerezza si dovrà dare una risposta. Il primo atto dovrà essere la revoca della graduatoria; il secondo la richiesta di dimissioni dell’amministratore unico della società.
Se non dovessero arrivare, accompagnate dall’umiltà delle scuse, a quel punto, i sospetti scoverebbero una base solida di certezza che trovano agire di nascosto l’ombra immane della politica».
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