di Valentina Perrone | 01 Maggio 2016
RECENSIONE | Un tuffo nell’anima, con un salto al tempo stesso grande e docile, per raggiungere la parte più profonda dell’esistenza, dove si celano consapevolezze e si fanno i bilanci per provare, se non altro, a gettare le basi per costruire un rapporto reale e tangibile con la propria coscienza. Questo è quello che fa Martino, boss della Sacra Corona Unita protagonista di “Quattro sbarre nell’anima”, il nuovo romanzo di Massimiliano Cassone edito da “ArgoMENTI Edizioni”. Una storia che ha fatto dell’anima molto di più di una comparsa nel titolo, andando a scavare nei sentimenti più autentici di un uomo che, scontando l’ergastolo nella sua cella, non fa solo i conti con la privazione della libertà fisica, ma anche – e soprattutto – col richiamo della coscienza, ripercorrendo giorno dopo giorno quella che è stata la sua storia, con il solo fine di lasciarne traccia affinché un giorno possa finire sotto gli occhi del figlio che mai ha conosciuto e che non ha smesso un solo istante di essere l’unica luce flebile dentro ai suoi giorni bui. Memorie innumerevoli che nel tempo spento e lento dei giorni in carcere, passano in rassegna l’esistenza di un ragazzino prima, e di un uomo poi, che si è lasciato ammaliare dal potere, quello facile partorito dalla vita balorda e che fa sentire invincibili, generando circoli viziosi da cui, una volta entrati, uscirne è paurosamente difficile. Martino è un ragazzo salentino, figlio della povertà contadina, al centro di una famiglia che nelle grandi ristrettezze economiche fa realmente fatica ad affrontare i giorni, ma straordinariamente ricca di valori, quelli autentici vissuti all’ennesima potenza come solo una famiglia del sud è in grado di fare. Ma la società, per via del suo essere così tragicamente agganciata ai meccanismi dell’apparire, respinge Martino relegandolo ai margini, ai lati del mondo, da dove l’ambiente criminale è tutt’altro che lontano e inarrivabile. In brevissimo tempo Martino si lascia coinvolgere da quel mondo, diventa un boss pericoloso e si macchia di crimini feroci, per approdare, nel giro di un tempo altrettanto piccolo, ai vertici della Sacra Corona Unita. Una scelta che pagherà cara, a cominciare dall’amore, quello per Giordana, la più grande rinuncia a cui è costretto a cedere per via di una vita, la sua, così distante da quella di una brava ragazza conosciuta negli anni dell’adolescenza che mai avrebbe voluto coinvolgere nelle trame di scelte pericolose. “Quattro sbarre nell’anima”, scritto con un linguaggio straordinariamente semplice condito da piccoli accorgimenti emotivi che lo rendono in grado di arrivare dritto al cuore del lettore, è un romanzo che è molto di più di una storia. Cassone incastra magnificamente il racconto di una delle pagine peggiori della storia del Salento, a quello di un uomo che, giunto al punto di non ritorno, cede a se stesso e ad ogni suo limite. Martino, alla vigilia della sua laurea in Filosofia a cui si è dedicato nei vasti spazi di tempo di un “fine pena mai”, spalanca la sua anima al pentimento, atto possibile per ogni uomo, di qualunque epoca e qualunque sia la colpa commessa, sebbene ciò non basti per cancellare gli errori e per riappropriarsi di una vita che ormai non è più. È un pentimento più che consapevole il suo, che a cominciare dalle scelte di cui si dichiara autentico autore e che sempre riconosce sue senza mai attribuire responsabilità a persone o cose diverse da sé e dalla sua vita, lo conduce alla presa di coscienza – forse la peggiore – di essere stato la causa primaria del dolore degli altri, della sua famiglia in primis, soffrendo per questo suo errore più dell’aver ucciso o dell’aver commesso atti feroci. Le sbarre del carcere che delineano lo spazio della vita quotidiana di Martino, definiscono prima ancora lo spazio della sua anima, intrappolata nel perimetro della coscienza da cui è praticamente impossibile uscire. Specie quando il tempo per redimersi, nell’unica vita che ci è concessa, si è ormai definitivamente concluso, lasciando spazio solo ai rimorsi e al desiderio grande di lasciare tracce di sé che siano degne, malgrado tutto, di non essere dimenticate.
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